sabato 12 gennaio 2008

I giudici milanesi: "Siamo inutili"

«Il 70% dei processi riguarda "fantasmi" o reati coperti da indulto»

«Noi giudici del dibattimento? Lavoratori socialmente inutili. Ci sentiamo come i lavoratori americani degli anni Trenta, quando la logica economica del New Deal creava occupazione solo per consentire di percepire lo stipendio da spendere per far ripartire l'economia depressa: oggi pm, avvocati e giudici percepiscono lo stipendio (tutti dallo Stato) per fornire una giustizia penale del tutto inutile». In vista dell'inaugurazione dell'anno giudiziario a fine mese, a levarsi dalle toghe di Milano non è più neanche una protesta, ma «uno stato d'animo: di inutilità». Descritto da una lettera attorno alla quale in questi giorni sta coagulandosi l'umore dei 70 giudici dell'ufficio del dibattimento. Ciascuno di loro, «nonostante le limitazioni alla trattazione delle udienze e le condizioni "preistoriche" in cui lavoriamo», nel 2007 ha «deciso 200 processi monocratici, quasi 14.000 processi». Solo che, rimarca la sconfortata riflessione maturata da giudici delle varie sezioni del Tribunale, «per un buon 30% di processi si tratta di assolvere o condannare delle impronte digitali: stranieri mai identificati, che anni fa fornirono alla polizia un nome, ma che sono rimasti "fantasmi"».

Poi ci sono gli imputati «identificati ma irreperibili», ignari di giudizi in contumacia che peraltro la Corte Europea ritiene contrari al «giusto processo». Ma il senso di inutilità «si aggrava se si considera l'altro 40% di processi che, pur contro imputati identificati e avvisati, riguardano reati per i quali il destino è o la prescrizione o l'indulto in caso di condanna ». Capolinea anche di molti gravi reati di competenza invece collegiale, «che impegnano ogni giudice per 8/10 udienze al mese, circa 100 giorni l'anno, in media dalle 9 alle 17», per definire nel complesso «in un anno circa 750 processi, una media di 30 per ogni collegio ».

Processi nei quali, dal maggio 2006 dell'indulto, «facce più rilassate accolgono una condanna ad una pena rilevante con buona indifferenza, perché tanto non porterà mai alla carcerazione. L'unico servizio che provoca condanne e carcere » è «la bolgia dantesca» del «turno delle direttissime: una trentina di arresti al giorno per reati bagatellari, commessi quasi solo da stranieri irregolari che determinano condanne tra i 3 e i 12 mesi», le uniche «tutte rigorosamente espiate». Sia chiaro, spiegano i giudici, «non vogliamo carcere per tutti, né siamo stati tutti contrari alle ragioni dell'indulto». Ma «un sistema repressivo che non reprime», esemplifica il giudice Ilio Manucci Pacini, «è una fabbrica che non produce, è un ufficio che non rende un servizio che gira a vuoto». Con «lo Stato che paga magistrati, amministrativi, strutture, interpreti, difensori d'ufficio, notifiche: tutto per sentenze il cui senso ci sfugge». Sottile, affiora qui anche una insofferenza per l'enfasi posta dal dibattito pubblico quasi solo sui processi sotto i riflettori: «Molti di noi non sono mai andati sui giornali e non ci tengono, non si tratta di desiderio di notorietà. Vorremmo invece che nel dibattito sulle sorti della giustizia si considerassero non solo i processi importanti, ma il funzionamento della macchina nel suo complesso, e le cause delle disfunzioni».

Luigi Ferrarella, Corr.12/1/2008

mercoledì 9 gennaio 2008

Il pm del processo Moggi indagato nell'inchiesta di De Magistris

Non decolla il processo alla Gea. Ci prova, alle 9.30 in punto, ma lo zelo di magistrati e avvocati naufraga contro un ostacolo imprevisto: un black out che dura fin quasi alle 11, quanto basta per scoraggiare i presenti e far rinviare l' udienza a oggi. La conseguenza è che il dibattimento, già slittato in un' altra occasione, non inizierà neppure questa mattina. C' è un nuovo giudice a latere e, in base al codice, i difensori possono pretendere che si ricominci daccapo. Verranno così riproposte le eccezioni già presentate nelle due udienze di giugno.
L' improvvisa interruzione dell' elettricità non è l' unica sorpresa di ieri. Lo è anche il nome del magistrato fresco di nomina: Felicia Genovese, ex pm antimafia di Potenza, indagata per associazione a delinquere, corruzione in atti giudiziari e abuso d' ufficio nell' ambito dell' inchiesta Toghe lucane» del pm Luigi De Magistris. La Genovese, secondo il collega che l' accusa, fa parte di un «comitato d' affari» che tiene in pugno la Basilicata. Finanziamenti europei, credito bancario, carriere di medici, processi penali e fallimentari da pilotare sarebbero i «settori» gestiti da una «cupola» di magistrati, politici di destra e sinistra, uomini delle forze dell' ordine. Sullo sfondo, anche il delitto della sedicenne Elisa Claps, scomparsa nel ' 93 e mai ritrovata: secondo un pentito, nell' omicidio è coinvolto il marito della Genovese, Michele Cannizzaro, direttore generale dell' ospedale San Carlo di Potenza. L' accusa però non è mai stata provata. Prima che scoppiasse la bufera, An voleva candidare l' ex pm alla commissione parlamentare Antimafia. Una volta esploso lo scandalo, il magistrato ha tentato di diventare consigliere di Corte d' appello a Reggio Calabria. Il Csm invece ha optato per il trasferimento a Roma, dove ieri la Genovese è apparsa per la prima volta in aula al posto di Vincenzo Capozza, spostato al Tribunale del riesame. Quando è scattato il black out, accanto al presidente della decima sezione, Luigi Fiasconaro, e all' altro giudice a latere, Alba Fiordalisi, c' era dunque anche la nuova collega. Di fronte, il pm Luca Palamara e gli avvocati, tutti in attesa che l' elettricità tornasse. Al buio non solo l' aula era gelida, ma non funzionavano i microfoni e i registratori. «Chiamate Moggi e ditegli di far tornare la luce», ha gridato una voce anonima. L' ex d.g. della Juventus Luciano Moggi, il figlio Alessandro e Davide Lippi, figlio dell' ex c.t. della nazionale, sono tra gli imputati principali del ramo romano di Calciopoli, i cui testimoni ormai cominceranno a sfilare non prima del 29 gennaio. Qualcuno, irritato per il nuovo rinvio, scherzando ma non troppo ha commentato: «Una manina ha fatto saltare il processo».

Di Gianvito Lavinia, Corr. 8/1/08