domenica 12 agosto 2007

La certezza della pena (negli Usa)

In Italia condanne pluriennali si traducono in pochi giorni di carcere (o nessuno). Negli Stati Uniti le cose vanno diversamente. Qui sotto l'articolo di M.Gaggi, Corr. 11/08/07.

Stati Uniti, in galera a 83 anni «Ha ingannato gli azionisti»

John Rigas, l' uomo che ha fondato e diretto per alcuni decenni, fino alla bancarotta del 2002, Adelphia, uno dei più grandi operatori di tv via cavo, entrerà domani nel carcere di Rochester, nel Minnesota, per scontare una pena di 15 anni, dopo che la sentenza emessa tre anni fa è stata recentemente confermata in appello. Lo stesso giorno suo figlio Tim inizierà un periodo di detenzione di 20 anni nel carcere di Elkton, in Ohio. John Rigas, il figlio di immigrati greci che era la perfetta incarnazione del «sogno americano» (da garzone di bottega a imprenditore miliardario) fino a quando non è stato accusato di frode a danno degli azionisti (2,3 miliardi «prestati» da Adelphia alla famiglia senza scriverlo nel bilancio) sta per compiere 83 anni e ha seri problemi di salute: è sordo, vede con un solo occhio ed è in cura per un cancro alla vescica, ora in remissione. Nulla di tutto questo gli risparmierà il carcere: i 15 anni già sono il frutto di uno sconto di pena concesso per l' età avanzata. Come estrema concessione, il giudice ha stabilito che il vecchio imprenditore potrà essere rilasciato dopo i primi due anni di detenzione, ma solo se il medico del carcere certificherà che gli rimangono meno di tre mesi da vivere. La severità della pena è un tratto caratteristico del sistema giudiziario degli Stati Uniti, un Paese con oltre due milioni di detenuti (compresi quelli agli arresti domiciliari): un livello che supera di circa dieci volte non solo l' Italia, ma anche altre nazioni europee come Francia e Germania. E sulla criminalità finanziaria il pugno della giustizia Usa in questi anni è stato particolarmente duro. Bush è considerato il presidente che più ha cercato di piegare il potere giudiziario alla volontà dell' Esecutivo (i giudici nel sistema americano sono eletti o vengono nominati dal governo) ed anche quello che ha maggiormente cercato di favorire il mondo degli affari. Proprio per questo, quando all' inizio del decennio Wall Street fu sconvolta dagli scandali finanziari, molti pensarono che tutto si sarebbe risolto in una serie di processi-farsa. Ma Bush varò una severissima legge di riforma della contabilità - la Sarbanes-Oxley, che ha appena compiuto i cinque anni - e promise che nei tribunali la «corporate America» non avrebbe goduto di un occhio di riguardo. Promessa mantenuta: da Dennis Kozlowski di Tyco a Bernie Ebbers di WorldCom, da Joseph Nacchio di Qwest a Jeffrey Skilling della Enron, le condanne per i crimini dei «colletti bianchi» sono state durissime. L' ultimo della serie è Lord Conrad Black, il «barone» dei giornali, un anziano imprenditore canadese condannato dal tribunale di Chicago per le irregolarità commesse negli Usa dalla Hollinger International: ora rischia fino a 35 anni di carcere. Kenneth Lay, gran capo di Enron e amico personale di Bush (era l' imprenditore più influente del Texas quando l' attuale presidente era governatore dello Stato) ha evitato il carcere solo per un infarto che l' ha ucciso un mese prima dell' inizio della detenzione. Pene severe, «esemplari», volte a dimostrare agli americani che nessuno può comprare l' impunità e ai mercati che l' America rimane il posto più sicuro nel quale investire. Ma anche condanne che spesso, proprio a causa di questi obiettivi, provocano un accanimento eccessivo e lasciano spazi alla giustizia-spettacolo. Il caso dei Rigas sembra essere uno di questi. John, il fondatore, ha sempre rifiutato di dichiararsi colpevole, sostenendo che quelli commessi dall' Adelphia sono stati solo errori e «leggerezze» contabili di cui, prima del caso Enron, nessuno si sarebbe accorto. «Ci siamo trovati nel posto sbagliato nel momento sbagliato», ha detto al quotidiano Usa Today. Andare in carcere senza patteggiare «è il mio modo di dire ai nipoti che non devono vergognarsi della loro famiglia». Una famiglia comunque devastata. Di quello che John Rigas ha costruito in mezzo secolo (cominciò comprando un cinema a Coudersport, in Pennsylvania, nel 1951) non resta più nulla (i pezzi della società andata in bancarotta sono finiti a Time Warner e alla Comcast). E con John sono stati condannati anche i figli: non solo Tim, ma anche Michael che, però, se l' è cavata con dieci mesi di arresti domiciliari. La famiglia ha chiesto che padre e figlio siano detenuti nello stesso luogo, in modo da facilitare le visite, ma nemmeno questo è stato, al momento, concesso. L' ultima speranza di John e Tim è una revisione del processo, visto che il principale testimone d' accusa, l' ex vicepresidente di Adelphia per le attività finanziarie, James Brown, in un recente giudizio civile ha raccontato una «verità» molto diversa da quella da lui presentata nel processo del 2004. Allora Brown aveva dichiarato di aver mentito agli azionisti sulla natura di quel fondo di 2,3 miliardi su pressione dei Rigas. Ora ha invece detto di non aver mai detto il falso alla società di revisione contabile e agli azionisti sulla riclassificazione del debito di Adelphia e sull' operazione di «co-borrowing» dei miliardi finiti alla famiglia. Fin qui il governo - che ha tempo fino al 7 settembre per decidere - non ha accettato la richiesta di celebrare un nuovo processo e del resto, spiegano gli esperti, i giudici federali sono sempre molto restii a riaprire un caso quando un teste, anche importante, cambia a distanza di anni la sua versione dei fatti. Nessuno pensa che i Rigas siano stati vittima di un errore giudiziario, ma certo la volontà dell' Amministrazione di usare il caso come un esempio e un monito per tutti è costata loro cara: il vecchio John ricorda che nel luglio del 2002, quando fu emesso il mandato di cattura, i Rigas offrirono di consegnarsi in un commissariato, evitando la «gogna» mediatica. Furono invece arrestati e ammanettati al centro di New York davanti alle telecamere di tutte le reti americane. «Volevano lo spettacolo», commenta il capostipite che oggi dice di sentirsi come Gary Cooper nella scena finale di Mezzogiorno di fuoco: solo contro tutti. In effetti gli amici del potente tycoon di un tempo sono tutti svaniti. Solo nelle chiese della sua Coudersport pregano per lui.

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