venerdì 7 settembre 2007

Le scarcerazioni facili non esistono

Ieri i tg annunciavano un supervertice al Viminale contro le "scarcerazioni facili", per studiare il modo di tenere dentro i criminali ed evitare che vadano a spasso prima della condanna definitiva. Scrivevo, e ribadisco, che le scarcerazioni facili non esistono. Esistono scarcerazioni a norma di legge: cioè di quella legge fatta da politici che spesso, poi, non ricordano più di averla fatta. Proprio ieri i carabinieri di Treviso arrestavano due albanesi e un rumeno per il duplice omicidio di Gorgo al Monticano. Il rumeno ha confessato le sue responsabilità e quelle dei due presunti complici. Uno dei tre, condannato per stupro, era uscito grazie all’indulto.

Scarcerazione facile? Sì, ma a opera del Parlamento (esclusi Idv, Pdci, Lega e An) che un anno fa votò l’indulto. Comunque, indulto a parte, se tanti imputati tornano in libertà prima che finisca il processo (sono presunti innocenti fino alla sentenza definitiva che arriva in media 10-12 anni dopo che han commesso il fatto) non è colpa dei magistrati, che alla fine del termine di custodia cautelare sono obbligati a scarcerarli. Né si può pensare di tener dentro per anni chi non è stato ancora condannato, come ai tempi di Valpreda. Il problema è dunque la lunghezza dei processi, che dipende anzitutto da due fattori. Primo: i troppi gradi di giudizio, che nei paesi seri sono al massimo due e da noi almeno cinque: indagini preliminari, udienza preliminare, primo grado, appello e Cassazione. Secondo: il regime della prescrizione, che nei paesi seri s’interrompe col rinvio a giudizio , mentre da noi continua a galoppare anche dopo il rinvio a giudizio e persino dopo la condanna in primo e secondo grado.

Basterebbe abolire il grado di appello (salvo in presenza di prove nuove) - come ha proposto di recente,inascoltato, il vicepresidente del Csm Nicola Mancino - e fermare la prescrizione all’udienza preliminare, per ridurrebbe i tempi dei processi a costo zero e liberare risorse umane e finanziarie per celebrare ancor più celermente gli altri due gradi di giudizio. A cascata, eviteremmo tante scarcerazioni di colpevoli per decorrenza dei termini, mentre gli innocenti ingiustamente accusati avrebbero giustizia molto prima di oggi. Ma di queste misure di puro buonsenso non pare si sia parlato nel supervertice al Viminale, occupato dalle chiacchiere sui lavavetri e gli ambulanti.

Pare che si sia parlato anche di mafia e di ’ndrangheta: e qui, com’è noto, il problema non è solo tener dentro i boss e i killer, ma prenderli. Bene, anzi male: l’ordinamento giudiziario Mastella varato a fine luglio dal Parlamento, fra i vari disastri, provocherà anche questo: l’azzeramento delle Procure, comprese quelle antimafia. La norma infatti prevede il bollino di scadenza dopo 8 anni per tutti gli incarichi direttivi e semidirettivi. Vuol dire che tutti i procuratori capi e aggiunti in attività da 8 anni dovranno sloggiare su due piedi. Solo a Palermo "scadono" e se ne andranno alcune memorie storiche dall’antimafia, da Lo Forte a Pignatone, da Scarpinato a Lari ad Alfredo Morvillo. A Torino se ne andrà il procuratore Marcello Maddalena, noto soprattutto per le sue indagini sulle cosche trapiantate in Piemonte . Il Csm calcola che almeno 400 fra capi e aggiunti se ne andranno , e occorrerà almeno un anno per rimpiazzarli tutti.

È troppo pretendere che, tra un allarme spugnette e un allarme collanine, il governo prenda sul serio anche l’allarme del Csm sulla scomparsa dei procuratori?

Marco Travaglio
L’Unità 5.9.2007

Nessun commento: