sabato 13 ottobre 2007

Debito, belgi e irlandesi i modelli da copiare

«Se ce l' abbiamo fatta noi, ce la potete fare anche voi». Nessuno può dire che i belgi, oggetto di barzellette francesi un po' come i carabinieri da noi, abbiano mai ecceduto in autostima. Quando gli si chiede dove sia finito il debito di Bruxelles, persino Paul De Grauwe è tentato di rifugiarsi nell' autoironia. E dire che lui, economista (fiammingo) di Lovanio e senatore liberale belga, avrebbe da raccontare una storia che davvero può far riflettere «anche» gli italiani. È in effetti la storia di un inseguimento e di un sorpasso improbabili sì, eppure avvenuti nel giro di pochi anni a opera un Paese in teoria sempre sull' orlo di una fine cecoslovacca, o peggio ancora jugoslava come qualcuno credeva negli anni ' 90. È proprio allora, con i secessionisti al 30% a Anversa, un sistema politico illeggibile e l' industria del sud francofono in depressione cronica, che il Belgio si mette alle spalle il Paese che nell' Unione gli assomiglia di più. Nel ' 93 l' Italia ha un debito al 118,5% del prodotto interno lordo (Pil) e il Belgio lo ha al 138%, un livello che neppure il pentapartito travolto da Tangentopoli e dalla crisi della lira aveva raggiunto. Sei anni dopo il Belgio è avanti e lascia al governo di Roma la maglia nera: 114,8% a 114,9%. La velocità come si vede è diversa e ignora persino le sempre risorgenti tentazioni scissioniste del vecchio regno post napoleonico. Quest' anno, il Belgio chiuderà con un debito totale delle pubbliche amministrazioni all' 83,9% mentre l' Italia viaggia venti punti sopra: battuti e distanziati da un sistema in permanente fase terminale. Possibile? Sì se nell' autoironia di Paul De Grauwe si legge il messaggio di uno Stato federale che non ha mai cercato ricette magiche, la vendita dell' argenteria o delle lenzuola. Vero, il Belgio degli anni ' 90 non ha avuto mano leggera sulle privatizzazioni, fino a mettere in vendita persino certe ambasciate. Ma il segreto della cura è che l' unico, vero choc è stato quello della determinazione politica di una comunità per altri versi divisa su tutto. Persino le litigiose amministrazioni regionali, quelle dalle quali passa quasi ogni euro su quattro di spesa pubblica, hanno accettato il controllo (ex post ma ferreo) di un' autorità centrale fatta di professori, banchieri centrali, esperti ministeriali: più statalisti e disciplinati gli scissionisti fiamminghi di certi sindaci di Taranto in default o dei responsabili dei tanti buchi sanitari regionali italiani. Per non parlare della spesa pubblica, cresciuta per finanziare il quieto vivere fra regioni e partiti disparati e poi tagliata di 15 punti di pil negli ultimi vent' anni: l' opposto del percorso italiano. Ne è uscita una Bruxelles oggetto di barzellette parigine ma in pareggio di bilancio dal 2000, che ha fatto del taglio del debito una palla di neve sempre più rapida con il calo degli interessi passivi e un surplus primario doppio rispetto a quello di Roma (al 4% del pil). Il resto della ricetta ricorda un po' l' altro «choc» europeo, quello dell' Irlanda. Sia Bruxelles che Dublino hanno ridotto le imposte sulle imprese e agito per attrarre il massimo di investimenti esteri. Il Belgio cresce sopra la media di Eurolandia da un decennio, l' Irlanda è riuscita a falciare il debito dal 100% circa al 25% del pil in dodici anni con imposte d' impresa al 12% e crescita al 5%. Ma quello è un esempio da giovane «tigre». A noi basterebbe la modesta determinazione di quei vecchi, lenti felini dei belgi.

F. Fubini, Corr. 12/10/07

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