La «pugnalata alle spalle», come il pm Luigi de Magistris ha definito l' avocazione dell' inchiesta «Why not» a opera del procuratore generale reggente Dolcino Favi, è una ferita della profondità di quattro paginette svolazzanti, compresa quella di trasmissione da un magistrato all' altro. Ed è stata una pugnalata, come vedremo più avanti, decisa, comunicata e inferta in un giorno solo, venerdì 19 ottobre. Con la velocità e la determinazione che ogni pugnalata che si rispetti deve avere. Inclusa l' apertura della cassaforte blindata del pm a sua insaputa e la sottrazione di tutti gli atti dell' inchiesta «Why not» ben prima che la decisione di avocazione fosse notificata a de Magistris (ieri, cioè tre giorni dopo). Ma andiamo con ordine, perché a memoria d' uomo, e di giurista, e di politico, e di chiunque, ciò che è accaduto in questi tre giorni a Catanzaro non è mai accaduto in Italia dal 1861 a oggi. E forse non è mai accaduto nemmeno in paesi retti da regimi antidemocratici e illiberali. La decisione di Dolcino Favi di togliere l' inchiesta a Luigi de Magistris è basata su due motivi: il primo è che essendo Clemente Mastella un ministro, «va investito il tribunale dei ministri»; il secondo è che «il dottor de Magistris versa, a parere dello scrivente, in un conflitto d' interessi davvero evidente». Il conflitto d' interessi del pm, spiega Favi, «è indubbio, perché il pm è condizionato dalla pendenza del procedimento disciplinare» nei suoi confronti. In altri termini, da quando Mastella ne ha chiesto il trasferimento, de Magistris non sarebbe più sereno nei riguardi di Mastella. Una motivazione che in questi giorni era stata già contestata da più parti perché, è stato detto, sarebbe un pericoloso precedente: basterebbe che un ministro della Giustizia in odore di iscrizione sul registro degli indagati chieda il trasferimento del pm che lo indaga per porre quest' ultimo in una situazione di «conflitto di interessi» e quindi indurlo a mollare l' inchiesta. Ma è l' altra motivazione, la presunta violazione dell' obbligo di inviare gli atti al tribunale dei ministri, che mina nel suo complesso la decisione di Favi. E qui non c' entrano le questioni di diritto. Qui è proprio «il fatto» che non regge. O meglio, il fatto non c' è. Lo spiega lo stesso pm de Magistris: lui, dice, non doveva inviare un bel nulla al tribunale dei ministri, poiché stava indagando su Mastella per fatti antecedenti alla sua nomina a ministro. E, in ogni caso, come sempre avviene, «avrebbero potuto chiedermelo», dice il pm, poiché né il procuratore generale né il procuratore capo potevano sapere «in che veste fosse stato iscritto Mastella». E se anche per ipotesi Mastella fosse stato indagato come ministro, dice ancora il pm, «la sua posizione si sarebbe potuta stralciare, che bisogno c' era di sottrarmi l' intera inchiesta?». Ma l' intera inchiesta «Why not», ecco l' altra anomalia, per dirla con un eufemismo, era stata già prelevata, fisicamente, dalla cassaforte blindata del pm mentre questi, ancora domenica scorsa, nel suo ufficio, attendeva che gli fosse notificato il provvedimento. Ricapitoliamo, per chi pensa che la giustizia sia lenta: venerdì mattina, il procuratore della Repubblica (in realtà, il procuratore aggiunto Salvatore Murone, poiché il procuratore capo Mariano Lombardi è assente) invia una relazione al procuratore generale Dolcino Favi. Nella stessa mattinata di venerdì Favi, «vista la relazione del Sig. Procuratore», emette il decreto di avocazione - sul quale, di suo pugno, scrive: «Vi si dia immediata esecuzione» - e lo trasmette al procuratore capo Lombardi. Nello stesso giorno, nel pomeriggio, viene convocata in Procura la segretaria del pm de Magistris, la signora Maria, alla quale viene ordinato di aprire, con le chiavi che ha in custodia, la cassaforte blindata in cui il pm conserva tutti gli atti di «Why not». Maria ubbidisce e poi, quando lo racconta per telefono al pm, scoppia a piangere. Il decreto di avocazione, intanto, resta sulla scrivania di Lombardi per tre giorni e solo ieri mattina viene notificato al pm. E per la serie «dopo l' avocazione le indagini proseguiranno comunque», l' interrogatorio del nuovo supertestimone di «Why not», l' ex assessore regionale Giuseppe Tursi Prato, previsto per ieri pomeriggio, è stato rinviato «sine die». Nonostante la procura generale abbia solo un mese per chiudere l' inchiesta tolta a de Magistris.
C. Vulpio, Corr. 23/10/07
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