Una stratosferica evasione tributaria da quasi due miliardi di euro è stata contestata dal fisco italiano ai soci della Bell, la finanziaria lussemburghese che fu lo strumento per la storica scalata a Telecom di fine anni '90. Il controllo della compagnia telefonica era stato ceduto nel luglio 2001 alla cordata Pirelli-Benetton e questo affare aveva garantito ai venditori, capitanati dal finanziere bresciano Emilio Gnutti, un'eccezionale plusvalenza su cui però lo Stato italiano non ha mai incassato neppure un soldo di tasse sui profitti (Irpeg). Ora, dopo due inchieste penali della Procura, l'Agenzia delle Entrate di Milano ha notificato ai rappresentanti della Bell l'atto finale di una procedura di accertamento tributario che finora era rimasta riservata: in pratica è il provvedimento che dichiara chiuse le verifiche fiscali e chiede agli azionisti dell'epoca della società lussemburghese, quasi tutti italiani, di versare un totale di 1 miliardo e 937 milioni di euro. Per l'esattezza: 653 milioni e 987 mila euro di «imposte evase»; 106 milioni e 815 mila di «interessi »; 1 miliardo, 177 milioni e 884 mila euro di «sanzioni».
IL PROCESSO FISCALE — L'Agenzia delle Entrate, che dipende dal ministero dell'Economia, ha già calcolato anche come la maxi-multa dovrebbe essere divisa tra le 17 persone fisiche e giuridiche che erano azioniste della Bell tra l'agosto 2001 e il 2002, quando fu incassata la plusvalenza Telecom. Il prezzo più salato rischia di essere pagato da Hopa, la società guidata da Gnutti che era diventata un salotto trasversale della finanza italiana: 635 milioni di euro tra imposta evasa, interessi e sanzioni. Altri 416 milioni gravano, sempre secondo il fisco, sulla consociata lussemburghese Gpp, ma anche la Gp Finanziaria di Brescia, che è la cassaforte personale di Gnutti, è chiamata in causa per 36 milioni di euro. Tra gli azionisti dell'epoca compaiono, oltre a Unipol (60 milioni), anche banche che poi si sono trovate schierate dalla parte opposta di Gnutti (e dell'alleato Fiorani) nelle scalate incriminate del 2005: Antonveneta rischia di concorrere nella maxi-multa per 184 milioni, la controllata Interbanca per 121 e il Monte dei Paschi per 143.
IL DEBITO - Quote minori gravano su società estere (come Finstahl e Tellus) che fanno capo ad alcuni imprenditori italiani e sui titolari, che invece restano misteriosi, del fondo Oak delle isole Cayman. Nel caso Bell il fisco inserisce i fratelli Ettore, Fausto e Tiberio Lonati, storici alleati di Gnutti, chiamati in causa come persone fisiche per circa 30 milioni di euro. Per evitare il salasso, la Bell e i suoi azionisti hanno diritto di contrastare l'accertamento respingendo l'accusa di evasione davanti alle commissioni tributarie, che sono i giudici dei processi fiscali, oppure di conciliare o patteggiare. Il giudizio fiscale potrebbe anche creare complicate questioni legali tra vecchi e nuovi azionisti di Bell, Hopa e delle banche interessate.
VISCO, TREMONTI E LA PROCURA — L'atto d'accusa del fisco è stato depositato anche in procura, perché proprio due indagini dei pm milanesi avevano riaperto l'affare Telecom. La prima è l'inchiesta che accusa Gnutti di frode fiscale appunto come «amministratore di fatto» della Bell. L'indagine sembrava contraddetta dai precedenti dirigenti dell'Agenzia delle Entrate, che a sorpresa smentirono che la Bell fosse un'ipotesi di «estero- vestizione»: un «vestito straniero» creato solo per nascondere profitti prodotti in Italia da italiani. Il caso fu anche al centro di furiose polemiche politiche fra Visco e Tremonti. Intanto, mentre cambiava il governo, una seconda inchiesta della Procura, questa volta per tangenti, ha decapitato l'Agenzia di Milano. Quindi i nuovi dirigenti hanno riaperto, oltre ai fascicoli sospettati di corruzione, anche l'istruttoria fiscale sulla Bell. E ora l'hanno chiusa confermando la presunta maxi-evasione.
Paolo Biondani, Corr. 31/7/07
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